Questo è il primo post del corso di Struttura della Materia, quindi è bene ripercorrere alcuni degli esperimenti fondamentali che hanno permesso di indagare meglio la struttura della materia e in particolare quella degli atomi, e hanno messo in crisi la meccanica classica, portando allo sviluppo di una nuova teoria che prende il nome di meccanica quantistica.
All'epoca dell'esperimento di Rutherford, la teoria prevalente per spiegare la struttura atomica era il modello a panettone di Thomson. Questo modello, basato interamente sulla meccanica classica, concepiva l'atomo come una sfera con carica positiva, all'interno della quale erano distribuite cariche negative, analoghe all'uvetta in un panettone. La struttura a panettone dell'atomo comportava specifiche implicazioni teoriche. Considerando l'interazione tra l'atomo e una particella α (una particella con carica positiva utilizzata da Rutherford nel suo esperimento), la teoria prevedeva che la particella subisse al più lievi deflessioni di piccole frazioni angolari. Tale previsione derivava dall'applicazione del teorema di Coulomb, che permette di stimare il campo elettrico prodotto da una sfera carica. L'esperimento in questione prevedeva il bombardamento di una sottile lamina d'oro con particelle α, quindi secondo il modello di Thomson, ci si sarebbe dovuti attendere uno scattering limitato delle particelle. Tuttavia, i risultati sperimentali si dimostrarono radicalmente differenti.
L'esperimento mise in luce un dato sorprendente: mentre la maggior parte delle particelle α subiva lievi deflessioni di piccole frazioni angolari, alcune particelle venivano respinte e disperse con angoli significativamente ampi. Sulla base di questi risultati sperimentali, Rutherford confutò l'ipotesi di Thomson e propose un nuovo modello atomico, successivamente perfezionato da Bohr. Il modello prevedeva un nucleo puntiforme dove risultava concentrata una carica positiva. Tale configurazione implicava la presenza di un campo elettrico estremamente intenso in prossimità del nucleo, spiegando in modo coerente il motivo per cui alcune particelle subivano deflessioni considerevoli. Rutherford inoltre ipotizzò la presenza di una nuvola elettronica attorno al nucleo, la quale determina la maggior parte dello spazio occupato da un atomo. Questa configurazione rappresentava un radicale ripensamento della struttura atomica rispetto al precedente modello a panettone, tuttavia questo modello presentava un problema di stabilità che verrà risolto grazie all'ipotesi di Bohr.
L'esperimento di Millikan rappresentò un punto di svolta cruciale nella comprensione della carica elettrica elementare, permettendo di misurare con precisione la carica dell'elettrone. Di seguito si riporta lo schema dell'apparato sperimentale:
L'apparato sperimentale di Millikan presentava un ingegnoso meccanismo per misurare la carica elettrica. Il processo iniziava con un nebulizzatore dotato di una punta metallica, attraverso cui l'olio veniva frammentato in minuscole goccioline. Queste goccioline venivano elettrizzate grazie al contatto con la superficie metallica. La configurazione sperimentale prevedeva una scatola con un piccolo foro sulla superficie inferiore, che consentiva alle goccioline elettrizzate di entrare in un condensatore dove era presente un campo elettrico regolabile dallo sperimentatore.
Il principio fondamentale dell'esperimento si basava sull'equilibrio delle forze agenti sulla gocciolina:
Regolando accuratamente il campo elettrico e osservando le goccioline attraverso un microscopio, Millikan riusciva a trovare condizioni di equilibrio. In questi istanti, uguagliando le forze in gioco, era possibile calcolare la carica elettrica delle goccioline. Il grande risultato fu la scoperta che tutte le cariche misurate risultavano multiple di un certo valore costante, questa venne definita come carica elementare dell'elettrone.
L'esperimento di Stern-Gerlach è stato cruciale per misurare il momento angolare di spin degli elettroni, sebbene la metodologia possa essere applicata ad altre particelle. Lo schema dell'apparato sperimentale è riportato di seguito.
Dal punto di vista classico, considerando un elettrone come un dipolo magnetico, l'introduzione in un campo magnetico uniforme non dovrebbe provocare alcuna deviazione. Le forze agenti alle estremità del dipolo sono uguali e opposte, quindi la traiettoria dell'elettrone resterebbe invariata.Se il campo magnetico non fosse uniforme, la meccanica classica prederebbe una dispersione casuale delle particelle, con una distribuzione uniforme tra direzioni up e down. Tuttavia, Stern e Gerlach osservarono qualcosa di profondamente diverso. I risultati sperimentali rivelarono che le particelle venivano deviate o verso l'alto o verso il basso addensandosi in due zone, indice del fatto che l'elettrone avesse un momento angolare intrinseco, lo spin, di valore ±\frac{\hbar}{2}. Questo non è spiegabile classicamente, infatti si potrebbe immaginare l'elettrone come una sfera che ruota sul suo asse, con carica distribuita sulla superficie, tuttavia, per quanto ne sappiamo oggi, l'elettrone non ha una struttura interna e pertanto un tale ragionamento è fuorviante.
L'effetto fotoelettrico è un fenomeno fisico che fu di fondamentale importanza perché dimostrò che la luce, in alcune situazioni, deve essere modellizzata come un flusso di particelle. Inoltre, rese evidente come la radiazione elettromagnetica scambi energia in pacchetti discreti chiamati quanti.
L'apparato consiste in due lastre metalliche poste l'una di fronte all'altra e collegate ad un generatore di differenza di potenziale, grazie al quale è possibile controllare il campo elettrico tra le due lastre. Su una delle due lastre si fa incidere una radiazione monocromatica (idealmente di frequenza ben definita), la quale permette di estrarre elettroni dalla superficie metallica.
Quando gli elettroni vengono estratti, si trovano immersi in un campo elettrico che tende ad accelerarli verso l'altro elettrodo, generando una corrente. Regolando opportunamente il potenziale del campo elettrico, è possibile frenare questi elettroni fino ad arrivare ad un punto, chiamato potenziale di arresto, in cui nessun elettrone riesce a raggiungere il secondo elettrodo e quindi la corrente si annulla. Di seguito riportiamo l'immagine dell'apparato sperimentale, e dei risultati ottenuti eseguendo l'esperimento.
Secondo la meccanica classica, che interpreta la radiazione come un'onda, gli sperimentatori si aspettavano che:
Tuttavia i risultati dell'esperimento confutarono queste ipotesi, mostrando che:
Con il modello ondulatorio classico era impossibile spiegare questi risultati. Per questo motivo Einstein introdusse il concetto di "particelle di luce", che chiamò fotoni, i quali interagiscono con la materia scambiando pacchetti discreti di energia ( detti quanti) proporzionali alla frequenza della radiazione secondo la relazione $E = h\nu$, dove h è la costante di Planck.
Questa teoria riesce a spiegare i risultati dell'effetto fotoelettrico, infatti:
L'equazione completa dell'effetto fotoelettrico può essere scritta come:
\begin{equation}
E_{cinetica} = h\nu - W
\end{equation}
Dove:
L'esperimento di Franck-Hertz, realizzato nel 1914 dai fisici James Franck e Gustav Hertz, rappresenta una delle prime e più importanti verifiche sperimentali della teoria quantistica della struttura atomica proposta da Niels Bohr nel 1913. Secondo il modello di Bohr, gli elettroni in un atomo possono occupare solo determinati livelli energetici discreti (o quantizzati) e non stati energetici intermedi.
Poiché non è possibile manipolare singoli atomi, Franck e Hertz utilizzarono un gas di mercurio in cui, a determinate condizioni di temperatura e pressione, gli atomi interagiscono tra loro principalmente mediante urti che possono essere considerati elastici o anelastici. L'apparato sperimentale consisteva in un tubo contenente:
Tra il catodo e la griglia viene applicata una differenza di potenziale (V₁) regolabile che accelera gli elettroni, fornendo loro un'energia cinetica controllata pari a eV₁ (dove e è la carica dell'elettrone). Tra la griglia e l'anodo viene invece applicata una piccola differenza di potenziale negativa (V₂), che agisce come barriera di potenziale, permettendo solo agli elettroni con energia cinetica sufficiente di raggiungere l'anodo. Questo potenziale "controcampo" serve a selezionare elettroni con una certa energia minima e a filtrare quelli che hanno perso energia nelle collisioni, che quindi verranno riassorbiti dalla griglia non raggiungendo mai l'anodo. Infine un amperometro misura la corrente che fluisce nell'anodo, fornendo una misura diretta del numero di elettroni che raggiungono l'elettrodo positivo.Di seguito vengono riportati risultati e apparato sperimentale di questa esperienza:
Questi risultati non possono spiegare con la meccanica classica, inoltre danno luogo a domando del tipo Perché abbiamo questi picchi? Per quale motivo la corrente cresce o decresce in questo modo?
Quando analizziamo il grafico della corrente anodica in funzione della differenza di potenziale tra catodo e griglia, possiamo identificare diversi regimi di comportamento che rivelano la natura quantistica degli atomi. Questi regimi di comportamento sono individuati dai picchi di corrente presenti nell'immagine diprima.
Inizialmente osserviamo che la corrente cresce quasi linearmente con il potenziale applicato. In questo intervallo, gli elettroni emessi dal catodo vengono accelerati dal campo elettrico acquisendo un'energia cinetica pari a E = e·ΔV, ma questa energia non è sufficiente per eccitare gli atomi di mercurio. Gli elettroni subiscono principalmente urti elastici con gli atomi, mantenendo la loro energia cinetica e riuscendo quindi a superare la barriera di potenziale tra griglia e anodo. La crescita non è perfettamente lineare né istantanea perché alcuni elettroni perdono comunque energia a causa di urti casuali con le pareti del tubo o per via della distribuzione statistica delle loro energie iniziali.
Quando la differenza di potenziale raggiunge circa 4.9 eV, osserviamo una drastica diminuzione della corrente anodica. Questo fenomeno cruciale si verifica perché:
Aumentando ulteriormente la differenza di potenziale, la corrente riprende a crescere. Questo accade perché gli elettroni acquisiscono un'energia superiore a 4.9 eV. Quindi anche dopo aver ceduto 4.9 eV in una collisione anelastica (quella con l'atomo di mercurio), conservano abbastanza energia residua per superare la barriera di potenziale e raggiungere l'anodo.
A circa 9.8 eV osserviamo un secondo minimo. In questo caso, gli elettroni hanno energia sufficiente per provocare due collisioni anelastiche successive prima di raggiungere l'anodo. Dopo aver ceduto 4.9 eV in una prima collisione, continuano il loro percorso con un'energia residua che può raggiungere nuovamente 4.9 eV grazie all'accelerazione nel campo elettrico, permettendo una seconda collisione anelastica. Dopo due collisioni, l'energia residua è troppo bassa per superare la barriera, causando un nuovo minimo nella corrente.
Questo modello si ripete per differenze di potenziale maggiori, con minimi a intervalli regolari di circa 4.9 V, corrispondenti a multipli interi dell'energia di eccitazione del primo livello del mercurio.
L'interpretazione di questi risultati fornisce una conferma sperimentale diretta del modello atomico di Bohr. La meccanica classica non può spiegare perché l'assorbimento di energia avvenga solo a valori discreti (4.9 eV, 9.8 eV, ecc.) e non a valori intermedi. Questo comportamento può essere spiegato solo se accettiamo che:
Il valore di 4.9 eV corrisponde precisamente alla differenza di energia tra il livello fondamentale e il primo livello eccitato dell'atomo di mercurio.
Un aspetto affascinante dell'esperimento è l'osservazione di emissione luminosa dal gas di mercurio. Questo fenomeno si spiega attraverso il processo di diseccitazione degli atomi:
Possiamo rispondere a questa domanda grazie alla statistica di Maxwll-Boltzmann. A temperatura ambiente (circa 300 K), la probabilità che un elettrone rimanga nel livello eccitato è proporzionale a $e^{-E/kₑT}$, dove:
Calcolando e^(-4.9/(8,62 × 10⁻⁵ × 300)) ≈ e^(-190) ≈ 10⁻⁸³, otteniamo una probabilità, che pesata con il numero di particelle in gioco (ordine qualche numero di Avocadro), è praticamente nulla. Questo significa che a temperatura ambiente è estremamente improbabile trovare atomi eccitati in equilibrio termico. Servirebbero temperature dell'ordine di decine di migliaia di kelvin perché gli atomi possano rimanere significativamente eccitati per effetto termico.
Gli esperimenti che abbiamo esaminato in questo articolo sono stati di grandissima importanza storica. Essi non solo misero in luce i limiti intrinseci della meccanica classica nell'approcciarsi al mondo microscopico (e non),ma dimostrarono concretamente la necessità di formulare una nuova teoria fisica. L'effetto fotoelettrico rivelò la natura corpuscolare della luce attraverso l'interazione con la materia, mentre l'esperimento di Franck-Hertz fornì la prima prova diretta della quantizzazione dei livelli energetici negli atomi. Queste evidenze sperimentali, impossibili da spiegare nel quadro della fisica classica, posero le fondamenta per lo sviluppo della meccanica quantistica, una rivoluzione concettuale che avrebbe trasformato profondamente la nostra comprensione della natura e aperto la strada alle tecnologie che caratterizzano il mondo moderno - dai laser ai semiconduttori, dalla risonanza magnetica alla microscopia elettronica. Questi esperimenti rappresentano dunque non solo tappe cruciali nella storia della fisica, ma veri e propri spartiacque nella storia del pensiero scientifico.